Sottile è il ghiaccio… La modernità si caratterizza per un doppio movimento: da un lato, si creano spazi di libertà per i singoli individui, finalmente messi in condizione di tracciare – almeno in linea di principio – la propria traiettoria esistenziale senza doversi sottomettere ad autorità esterne assolute (politiche e religiose); dall’altro, i princìpi di accumulazione economica, di innovazione perpetua e di controllo “soft” incanalano l’energia dei soggetti verso un individualismo funzionale al mantenimento di un sistema dominato dalle logiche divisive dei mercati finanziari, del consumo e della burocrazia. Come ha ricordato un importante sociologo (Alain Ehrenberg) noi occidentali viviamo da alcuni secoli nella cosiddetta condizione-autonomia, ovvero in una forma di società che poggia interamente sulle fondamenta dell’affermazione personale, della valorizzazione dei talenti, della scelta tra opzioni diverse in nome, appunto, dell’autonomia decisionale dei singoli. Eppure, dinnanzi ai quotidiani e martellanti inviti a esercitare la nostra libertà, non possiamo che avvertire un disagio crescente. Si può davvero prescrivere la libertà? Non entriamo così in quel “doppio legame” descritto accuratamente dalla psicologia sistemico-relazionale quando evidenziava la natura patogena di ingiunzioni quali “Sii spontaneo!”? Un po’ ovunque fioriscono proposte e servizi finalizzati a “potenziare” le capacità umane in vista di un successo da conseguire sul lavoro, nelle relazioni sentimentali e sui social network. Oggi, tanto più nell’epoca delle tecnologie digitali e della multimedialità, appare molto difficile mettere in discussione la retorica dell’ottimizzazione continua, della crescita illimitata, dell’ottimismo obbligatorio. Tuttavia il ghiaccio è sottile e, mentre crediamo di pattinare felici in un mondo di infinite opportunità, è facile sprofondare nelle acque gelide della realtà. Sotto la superficie scintillante delle promesse di autorealizzazione si apre, come un baratro, uno scenario poco rassicurante: relazioni sempre più strumentali, disuguaglianze economiche, razzismi e nazionalismi di ritorno, cambiamenti climatici generati da un modello di sviluppo insostenibile e irragionevole, paure e ansie collettive difficili da frenare, femminicidi, pregiudizi che impediscono il dialogo tra culture e persone diverse… Sono queste le ombre che insidiano, su scala globale, il sogno di una società nella quale tutti gli individui possano scoprirsi “liberi” di diventare se stessi. La modernità, va detto, ha introdotto un’idea di soggetto feconda e irrinunciabile. Forse, però, dovremmo ricordarci che il processo di dispiegamento delle nostre potenzialità si dà solo grazie ai limiti e ai legami che ci costituiscono. Se entrambi vengono negati e distrutti allora sparisce anche la nostra amata libertà (lo dimostra il senso epidemico di angoscia e precarietà che colpisce i nostri contemporanei sul piano esistenziale). Ecco perché allo “sviluppo personale” magnificato dai guru del marketing dobbiamo sostituire il concetto di “evoluzione comune”, di crescita in umanità, di cooperazione consapevole per difendere la salute nostra e del pianeta che ci accoglie. E questo perché l’unicità di ciascuno di noi è data dal modo originale in cui esprimiamo ciò che è Comune, la Vita nel suo intreccio di generazioni, ambienti, contesti storici e culturali. L’individuo separato, l’agente razionale che tende solo a massimizzare il proprio utile (secondo la teoria utilitarista dei rapporti umani), semplicemente non esiste. Prima ce ne accorgeremo meglio sarà, per Tutti.
Paolo Bartolini
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