LA TRAPPOLA DEL VITTIMISMO – PARTE PRIMA

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di Roberto Costantini

Occorre diffidare di chi si lamenta continuamente di essere stato danneggiato, perché questo nasconde un atteggiamento vittimistico che, in pochi istanti, può capovolgersi in comportamenti persecutori verso gli altri. Chi fa la vittima parte infatti da una o più aspettative deluse, ed è soggetto talvolta a pensieri deliranti che nulla hanno a che fare con la realtà. La persona, dunque, non necessariamente viene ferita dal mondo: la delusione è il risultato, piuttosto, di aspettative fuori fuoco che non ottengono la mèta desiderata. Tuttavia questo processo di disillusione non è accolto in quanto tale, ma trasformato nella certezza di aver ricevuto un’offesa da riparare quanto prima. Così la vittima presunta si dà il permesso di criticare e giudicare gli altri, colpevoli a suo dire di aver tradito la fiducia e compiuto delle ingiustizie evidenti. Però, come riconoscere esattamente la posizione esistenziale della vittima? In fondo è semplice: quando una vittima parla non è mai capace di mettere in discussione ciò che afferma. Sentenzia, crede di possedere la verità e si erge puntualmente a giudice degli atteggiamenti altrui. Tende anche ad aspettarsi che siano sempre gli altri a dover cambiare o a darle ciò che le spetta di diritto. Nei confronti della realtà la vittima è perlopiù reattiva. Le manca un contatto aperto e propositivo, e questo genera in lei un senso opprimente di delusione e di mancanza. La vittima perpetua è, quindi, vittima soprattutto di se stessa, delle proprie difese, della paura di impegnarsi attivamente per cambiare direzione nella vita. Stephen Karpman è stato veramente geniale nell’identificare la complicità che lega fra loro le tre figure del triangolo drammatico: Vittima, Salvatore, Carnefice. Difficilmente queste figure si danno in maniera “pura”, piuttosto tendono a coimplicarsi e alternarsi. Quindi, attenzione a chi veste la maschera della pecorella afflitta: sotto potrebbe nascondere un feroce predatore che ha bisogno di nutrirsi della vergogna e delle energie degli altri.

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