LA SINDROME DEL SALVATORE E LA LEGGE DELL’AMORE

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di Roberto Costantini

Possiamo riconoscere il nostro valore, e volerci bene, indipendentemente da un’etica della prestazione? E’ molto difficile riuscirci se ci identifichiamo con il ruolo del Salvatore. Quest’ultimo prevede che la persona si prenda cura degli altri annullando se stessa. L’attenzione è stabilmente verso l’altro e il “dare” diventa ripetitivo e obbligato. Il riconoscimento, in situazioni del genere, è sempre condizionato. Pesa molto, qui, il doverismo, che impedisce al soggetto di entrare in contatto con i propri bisogni. Uscire da tale automatismo diventa necessario per potere andare alla scoperta di sé, liberandoci da schemi mentali acquisiti e non negoziabili. Fondamentale è avvicinarci al mondo delle sensazioni e radicarci a terra, apprezzando la ricchezza e le sfumature di tutto ciò che è. Altrettanto importante, vogliamo sottolinearlo, è distinguere nettamente la sindrome del Salvatore dalla sana capacità di donare e di darsi. Il nostro tempo storico è segnato dall’indifferenza, dalla paura e da una (dis)cultura del respingimento che sta facendo proseliti. Prestare attenzione e soccorso agli altri vuol dire essere pienamente umani e non ricade certo nel copione del Salvatore. Cosa distingue, dunque, chi dà in modo forzato da chi ha imparato a darsi con amore? Il primo opera con il desiderio recondito di ricevere indietro, sperando anche di sentirsi superiore per il ruolo che ha assunto. Quanti sono i Salvatori che guardano dall’alto in basso i loro “protetti” e che vogliono solo controllarli?! Il secondo, invece, riconosce che il destino degli umani e di tutti i viventi è comune e intrecciato. Aiutare l’altro è un gesto spontaneo che permette di serbare intatta la nostra umanità. Ben oltre la questione delle appartenenze confessionali, l’invito di Gesù ad “amare il nostro prossimo / come noi stessi” rappresenta oggi, e forse da sempre, la via migliore per comprendere la forza trasformativa dell’Accoglienza. Dopo fraintendimenti millenari è tempo di cogliere la bellezza e il senso di questo invito, senza separare la prima parte dalla seconda e viceversa. Il potere vive di questa separazione e la alimenta. Non a caso.

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