La gentilezza è una forza, dimenticata, repressa, ma sempre sul punto di riaffiorare. In una società che ruota attorno alla competizione, alla durezza e al principio di esclusione, ogni atto gentile assume una valenza importante: un seme di civiltà. Gentilezza non è semplice cortesia, non coincide del tutto con la tenerezza (sebbene abbia in comune con essa una componente irrinunciabile di morbidezza). Si può responsabilizzare con gentilezza, stimolare a diventare adulti. Il tatto che una persona gentile coltiva si traduce in un tocco delicato ed efficace, un prendere per mano che accompagna verso l’umanità condivisa. Un tocco che bandisce colpevolizzazione, giudizio e critica senza per questo sollevare ciascuno dal dovere di rispondere delle proprie azioni, dei propri pensieri. La gentilezza, più che essere innata, va promossa socialmente, in famiglia e a scuola. Va risvegliata, insomma, liberandola anche dai detriti dei luoghi comuni che la soffocano (“chi è gentile lo è solo di facciata”, “chi è gentile è un debole”, “chi è gentile lo fa per un secondo fine” e così via). Richiede inoltre un grande esercizio di empatia, perché riguarda la nostra facoltà di metterci nei panni dell’altro, offrendogli un rispetto sincero. Farci prossimi a qualcuno (e a noi stessi) è l’opposto dell’invadenza. La persona gentile non si impone, non ostenta e – anche quando soccorre chi è in difficoltà – mantiene sempre una buona percezione dei confini personali. Credo che oggi, più che mai, sia necessario diffondere la gentilezza come un antidoto alla violenza e all’indifferenza del nostro tempo. La gentilezza è anche la migliore custode della bellezza insita nei rapporti gratuiti, la promuove e ci insegna ad apprezzarla. Troppo spesso stentiamo a contattare la bellezza in noi e fuori di noi, presi come siamo dall’ansia di prestazione, dal volerci perfetti, dal bisogno di ricevere consensi. Propedeutico a ogni sviluppo psicospirituale, è il fatto di imparare a essere gentili con noi stessi, a perdonare i nostri errori, mettendo balsamo sulle ferite e incoraggiando una rinascita. I gesti gentili, che partono dal cuore e non da un astratto doverismo, lasciano tracce indelebili (sul versante interpersonale e su quello individuale) sprigionando energie riparative preziose per i singoli e per la collettività.
dott. Paolo Bartolini
ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona