Nel nostro tempo inquieto, attraversato da paure e da cambiamenti epocali, la vita di coppia viene spesso considerata un luogo di rifugio, nella speranza (vana) che l’amore possa prosperare dentro una bolla di presunta autosufficienza. Poi ci si accorge, durante l’effettiva frequentazione del partner, che le rose abbondano di spine. E ciò lascia stupiti solo coloro che avevano banalizzato o idealizzato le relazioni sentimentali. Infatti quest’ultime sono tutto tranne che “facili” e rimangono esposte alle vicende più ampie della vita collettiva che ci include. Del resto nell’amore di coppia sono in gioco molti fattori diversi: la tenerezza, la fiducia, la sessualità, il timore di restare delusi, la progettualità, l’ansia da separazione, il desiderio di un’unione capace simbolicamente di vincere la morte, la capacità di essere generativi. Sono molteplici, e inevitabili, gli investimenti che facciamo sulla vita di coppia, terreno sul quale misuriamo la nostra aspirazione a una felicità che puntualmente ci sfugge di mano, scivolando tra le dita. Ecco, allora, che impattiamo con una verità scomoda, ma che va assunta come punto di partenza: l’amore di coppia, pur schiudendo la possibilità di attingere momenti che hanno il sapore dell’eterno e dell’infinito, è soggetto come ogni cosa al lavorio del tempo, a un divenire incessante. Non per niente si parla di “ciclo di vita” della coppia. Solo chi acconsente al processo – non in modo passivo, ma con consapevole partecipazione – può fare tesoro delle occasioni che ci offre il partner, cogliendo l’opportunità di mettersi in gioco e di riconoscere le coordinate prevalenti del proprio stile sentimentale. Il percorso d’amore, in altre parole, ci offre una grande opportunità di conoscenza e ci invita a essere interi nei nostri entusiasmi e nelle paure, nelle gioie e nei momenti critici, senza defezionare, senza fuggire in cerca di consolazioni di corto respiro. Se la coppia è un tempio, lo è perché tra due cuori si muove incessantemente la scintilla della vita, corrente sacrale che ci spossessa e ci rende noi stessi nel medesimo istante, mandando all’aria l’ipocrisia delle convenzioni e delle maschere sociali. Il dio dell’Amore non porta un benessere scontato, un focolare sempre acceso, ma porta sia la tempesta che la quiete, l’ardore e il riconoscimento. Quel dolce ritrovarsi nel cuore del mondo, con gli occhi lucidi, dopo una lunga notte trafitta di stelle. Solo trovando un equilibrio dinamico tra stabilità e trasformazione possiamo infine abitare la realtà dell’amore, che poggia sulla distanza incolmabile tra due soggetti impegnati a custodirla dentro il cerchio di un abbraccio. Perché amare vuol dire mettere in comune differenze che si attraggono: la morte le cancella, l’amore le benedice senza negarle.
dott. Paolo Bartolini
ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona