Non dovrebbe stupire il fatto che, nella società dello spettacolo e del consumo, l’ansia di apparire unici e speciali vada di pari passo con un conformismo dilagante. Unici e speciali come merci bene in vista sullo scaffale di un negozio, tutte identiche per il fatto di essere soggette all’equivalente generale del denaro che ne quantifica il valore di scambio. Questa è la normalità e guai a sottolinearne gli effetti nocivi e perfino patologici sulle nostre vite. Esiste, infatti, un bisogno di emulazione innato negli umani, che li spinge alla ricerca del consenso e dell’inclusione. Ma per essere accettati a ogni costo (nella nostra cultura l’approvazione sociale dipende dallo status, dalla ricchezza e dalla visibilità di ciascuno) si finisce con lo smarrire la propria soggettività. In ambito clinico si parla di “normopatia” per definire la tendenza diffusa ad appiattirsi sui codici di comportamento dominanti, rinunciando allo spirito critico e in generale al pensiero. Chi è affetto da normopatia aderisce ai dettami del suo contesto di vita, inibisce dubbi e domande, cercando di rendersi uniforme rispetto alle richieste del sistema. La vitalità personale si affievolisce e la differenza che ognuno di noi incarna perde i suoi tratti distintivi, conducendo al già ricordato conformismo. Ecco allora che la normalità diventa fonte primaria di sofferenza e di disagio. Queste tendenze camaleontiche portano il singolo a nascondersi dietro i voleri della maggioranza e a nutrire rancore nei confronti dei pochi che tentano di pensare diversamente. La normopatia, nella storia del Novecento e in quella recente, ha offerto molto materiale umano ai dittatori e ai sistemi politici di controllo che ostentano propositi liberali e democratici solo di facciata. Se il fenomeno è così diffuso lo dobbiamo al fatto che nei passaggi storici più controversi e delicati, si cerca spesso di alleggerire l’angoscia sospendendo il pensiero critico e qualunque comportamento possa attrarre il giudizio inappellabile degli altri. Fare come fanno tutti è più semplice e mette a tacere i conflitti interni, ma solo in maniera momentanea, lasciando il soggetto svuotato e condannandolo a una vita prescritta. Possiamo concludere affermando serenamente che la libertà è altrove e può essere riscoperta, purché si abbia il coraggio di mettersi alla ricerca, rinunciando alle certezze e ai punti fedeltà.
dott. Roberto Costantini e dott. Paolo Bartolini
ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona