Accolgo molte persone che arrivano con una conoscenza cognitiva di sé molto accurata. Hanno analizzato la propria vita, la relazione tra il passato e il presente, le identificazioni con i modelli genitoriali, eppure soffrono tremendamente, bloccati come sono nelle sabbie mobili del rimuginio. Sono schiavi di se stessi anche quando simulano una qualche padronanza sulla propria vita. Vogliono “capire”, ma questo non basta per essere consapevoli. L’ipertrofia razionale genera solo controllo sulle emozioni, incastro e senso di scollegamento dalla vita. Il dolore viene anestetizzato e controllato, così come pure la rabbia e la paura. Queste emozioni rigettate, ogni tanto fanno capolino e reclamano un loro spazio. Di rado, però, vengono accettate fino in fondo. Più spesso le emozioni e la carica energetica che le accompagna, sono rifiutate ed estromesse dalla coscienza del quotidiano. Tale privazione arreca danno al soggetto, che finisce per chiudersi nella fortezza delle sue difese mentali. Ciò che viene controllato e trattenuto, infatti, consuma una grande quantità di energia che viene sottratta alla vitalità complessiva della persona, con il rischio di condurla verso stati depressivi. Eppure questa energia va recuperata. La persona deve imparare ad accogliere quello che si muove sul piano emozionale, uscendo dal rifiuto e dalla guerra che si muove a ciò che è percepito come pericoloso e spiacevole.
La madre accoglie il bambino quando è piccolo e le sue caratteristiche vengono gradualmente interiorizzate dal figlio. La madre esterna diventa interna. Una madre distante e anaffettiva viene introiettata tale e quale. La persona, da adulta, continuerà perlopiù a trattarsi con freddezza e scarsa empatia.
Il cambiamento allora deve avvenire dentro noi stessi, facendo spazio a un percorso ininterrotto di consapevolezza. Il proprio bambino interiore va totalmente accolto, con morbidezza e tenerezza.
La consapevolezza integra e non rifiuta, permettendo di imparare a stare bene con se stessi. Il lavoro prende dunque la forma di una lenta costruzione di una madre interiore “sufficientemente buona” che ci permette di sentire ed esprimere le emozioni fuoriuscendo dalle rigide convinzioni di base ereditate. Così, un po’ alla volta, usciamo dalla nostra guerra civile interna per andare verso l’autonomia e l’armonia.
In questo modo le energie prima incatenate per favorire il controllo sulle emozioni, possono ora dispiegarsi creativamente. Vengono finalmente recuperate, sciolte dal nodo dei sensi di colpa e utilizzate per alimentare vitalità ed entusiasmo. Quando i conflitti insopportabili si risolvono, la persona riscopre il piacere di abitare il presente e impara a cogliere molti più dati della realtà. Le sue risposte all’ambiente diventano efficaci e prive di allarme, adeguate al momento e alla situazione. Ritrovare equilibrio e sganciarsi dalle fisse egoiche che ci fanno soffrire è la precondizione per vivere meglio con gli altri e per schiudere processi di riconoscimento empatico prima compromessi da aspettative irrealistiche e da nodi conflittuali irrisolti. La consapevolezza, accompagnata da accoglienza e tenerezza verso le fragilità di ognuno, permette di evolverci e apre a una profonda presa di responsabilità sugli effetti dei nostri comportamenti sulle persone che ci sono accanto. Aprire il cuore al dono di sé e impegnarsi in un processo continuo di umanizzazione (personale e sociale) è l’esito felice – ma anche coinvolgente e delicato – a cui si perviene quando si sceglie di abbandonare il cerchio soffocante delle vecchie identificazioni e si accetta il rischio di incontrare la vita oltre le solite maschere di ruolo. La consapevolezza, in definitiva, è un cammino. Non è la meta, ma il viaggio. E quest’ultimo, sorprendentemente, si rivela essere la destinazione più congrua per l’essere umano e per la sua aspirazione a un’esistenza ricca di senso.
dott. Roberto Costantini
Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona