QUANDO E’ DIFFICILE ESSERE SE STESSI

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A volte rimango allibito di fronte alla vastità del controllo sociale e alla sua capacità di penetrare nell’inconscio degli individui. Lavorando con le persone mi rendo conto ogni giorno sempre di più di come tale controllo sociale venga trasmesso anche e soprattutto dalle figure di attaccamento. I genitori sono certo impegnati nel far crescere i propri figli nel migliore dei modi, con la speranza che sviluppino un atteggiamento costruttivo nei confronti della vita, ma spesso non si rendono conto di molto altro. I genitori hanno paura che le caratteristiche del proprio figlio possano suscitare nella comunità di appartenenza un giudizio sociale e un rifiuto in quanto più o meno devianti rispetto alle norme codificate. In realtà sono gli stessi genitori a portare dentro di sé un inavvertito ma influente rifiuto verso i figli. A loro volta, nella loro infanzia, hanno avuto una rigida, a volte inconsapevole, trasmissione di regole, norme e divieti sociali dai propri genitori.

Tutto questo garantisce un passaggio intergenerazionale di valori codificati collettivamente e impressi in ciascun individuo appartenente al gruppo storico di riferimento. L’educazione del genitore produce, allora, una commistione di messaggi finalizzati non tanto al benessere dei figli e alla libera espressione delle emozioni e dei talenti, quanto piuttosto al mantenimento di un’accettazione da parte della società che si traduca in “buona reputazione”. La comunità diventa subito presente all’interno del sé e l’ingiunzione genitoriale che raggiunge il futuro adulto è quella di non essere se stesso ma di adattarsi alle aspettative altrui, assimilando modelli e comportamenti esterni. Questo processo va avanti a cascata, di generazione in generazione, inconsapevole ed automatico, stigmatizzando come “deviante” ogni modo di vivere e di essere che non si appiattisca sull’idea di benessere socialmente accettata. Gli esempi sono infiniti e sempre dipendenti da specifici contesti sociali e dal quadro dei valori medi condivisi.

Troviamo allora il figlio che in una società centrata sul lavoro viene rifiutato per il fatto di essere ad esempio un artista e di non incarnare il modello dell’efficienza e della produttività, oppure la persona emarginata per il suo orientamento sessuale e per le relative scelte di coppia. In un caso o nell’altro l’accoglienza incondizionata diventa difficile, soprattutto in presenza di codici sociali che privilegiano l’omologazione, non tollerano l’individuazione dei singoli e non ne favoriscono il benessere. Crescere dentro queste cornici valoriali prive di flessibilità produce sovente, nel bambino/ragazzo e futuro adulto, un adeguamento passivo che lo porta a sacrificare il suo stare al giusto posto nella vita e la sua realizzazione autentica. La vita diventa allora una fiction inconsapevole, la rappresentazione scontata e banale di una felicità uguale per tutti. Ciò comporta pesantezza e sforzi continui per adattarsi a un modo di vivere inevitabilmente frustrante, privo di passione e di un reale ascolto di sé.

 

dott. Roberto Costantini

Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling  Sede di Ancona

 

 

 

 

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