Mi succede di avvertire un certo fastidio quando le persone mi dicono di essere consapevoli di molti aspetti della propria vita confondendo la razionalità con la consapevolezza. Essere coscienti significa perlopiù indagare se stessi a livello analitico cercando risposte razionali alle nostre domande. In poche parole significa aver capito dei “perché” circa la natura e le cause di alcuni fenomeni. Tuttavia questo modo di esplorare i propri funzionamenti serve a ben poco e va piuttosto a potenziare il controllo cognitivo già elevato in molte persone. Esse, non di rado, sanno sviscerare le catene di cause-effetti che conducono a certi comportamenti, eppure non traggono da questa conoscenza logica risultati duraturi e trasformativi.
Assistiamo quindi a un processo che si rivela decisamente parziale e incompleto. Assai diverso è il vissuto di consapevolezza nel quale si verifica una percezione ampliata che supera largamente la comprensione cognitiva. La consapevolezza è una condizione dinamica di presenza a se stessi e al mondo. Essere consapevoli vuol dire percepire, sentire e riconoscere (ovviamente anche a livello cognitivo) le caratteristiche di un dato evento interno e/o esterno. La consapevolezza implica allora un processo multidimensionale di integrazione tra aspetti consci ed inconsci dell’esperienza, grazie al quale la persona riesce ad espandere la percezione di se stesso e dei fenomeni. Ciò diventa possibile quando si recuperano sensazioni ed emozioni fino ad allora scotomizzate, contenenti informazioni spesso dolorose e angoscianti legate alla propria vita infantile e non solo. Un lavoro su di sé comporta allora una dinamica presenza a se stessi e una capacità crescente di recuperare vissuti emotivi spiacevoli per riviverli, integrarli e poterli superare lasciandoli andare.
Spesso è solo mediante una relazione terapeutica, accuratamente costruita in un clima di fiducia, che diventa possibile mettere in moto una trasformazione così profonda e renderla duratura. L’impegno a stare con il negativo senza rifiutarlo, grazie all’esempio di qualcuno che ha già accettato di confrontarsi con le proprie ombre, permette un lento cammino di responsabilizzazione rispetto ai propri vissuti e questo, a sua volta, ci aiuta a renderci conto che tutto è dentro di noi e ha solo bisogno di essere riscoperto e accolto incondizionatamente nella sua carica emozionale. Solo entrando dentro se stessi si può avviare un siffatto processo di integrazione che salva il materiale emotivo nascosto da un destino di rimozione perpetua. Questo percorso, per quanto difficile, è l’unico che può consentirci di abbandonare il ruolo di vittima per andare in direzione di una piena e consapevole felicità dell’Essere.
dott. Roberto Costantini
Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona