Di recente mi è capitato di leggere sulla porta di ingresso di una farmacia: “L’Ansia. Conoscerla per sconfiggerla!”. Questa frase mi ha colpito e mi ha fatto riflettere per gli equivoci che rischia di generare. L’ansia, in realtà, non va “sconfitta”, piuttosto è indispensabile comprendere i meccanismi che la inducono e i significati che in essa si esprimono. Ci sono due tipi di ansia, spesso interagenti, che voglio qui brevemente ricordare. Per quanto riguarda il primo, va detto che da bambini accade di subire l’ansia di uno o entrambi i genitori, senza rendersene conto pienamente. Il genitore non contiene la propria ansia e, inconsapevolmente, trasmette questo contagio al bambino, il quale produce una serie di reazioni difensive per far fronte alla paura suscitata da questa interazione disfunzionale. Eppure l’ansia genitoriale è inevitabilmente impastata di emozioni ambivalenti, viene cioè percepita dal figlio come qualcosa di affettivamente significativo. Proprio perché arriva dal genitore deve essere, in qualche modo, un ingrediente “naturale” dell’amore. Quando il bambino cresce, tutto questo viene introiettato. Diventando adulti ci portiamo dentro, e facciamo nostra, l’ansia che proveniva dalle nostre figure di cura. L’imprinting è ormai penetrato in profondità, e per questo reagiremo facilmente agli stimoli del mondo replicando gli atteggiamenti ansiosi dei genitori. Sorgono così quegli automatismi per i quali, ad esempio, dinnanzi a un sintomo fisico andiamo subito in ansia, rispecchiando le reazioni che nostra madre aveva in situazioni analoghe. Il secondo tipo di ansia lo proviamo quando perdiamo il contatto con le nostre radici corporee.
Se manca la serenità connessa al vivere le sensazioni, è probabile che stati ansiosi si sostituiscano alla normale percezione di sé. Quando siamo aperti, centrati e ci viviamo “qui ed ora”, dubito fortemente che l’ansia possa affiorare. Invece essa arriva quando la presenza a noi stessi diviene solo mentale e ci distanziamo dalle sensazioni concrete. La mente, una volta scollegata dal resto del corpo, non abita più il momento e si impadronisce nevroticamente del passato e del futuro. Quando prevale il pensare sul sentire, e usciamo dal contatto con le sensazioni, il respiro si accorcia, entriamo in una fase di stress dove siamo sbilanciati: corriamo in avanti, verso le cose esterne, siamo ansiosamente nel fare e lontani dall’essere. Questo fare compulsivo, in realtà, serve proprio per evitare di sentire in noi stessi qualcosa che non ci piace. Una fuga improduttiva che ci condanna a una vita insoddisfacente e priva di integrazione. Allora, invece di “sconfiggere l’ansia”, forse sarebbe il caso di imparare ad ascoltare la sua voce. Perché è portatrice di segnali importanti e ci impone di cambiare strategia rispetto alle difficoltà dell’esistenza: al posto della fuga e della lotta, è tempo di sviluppare il dialogo e l’ascolto di ciò che in noi preme per essere accolto e trasformato.
dott. Roberto Costantini
Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona