È stato calcolato che almeno un sesto della popolazione italiana fa uso, con una certa continuità, di farmaci antidepressivi. Il tema è davvero complesso e implicherebbe riflessioni troppo vaste sui cambiamenti sociali che concorrono a questa “epidemia”, sulle situazioni familiari e traumatiche (ad esempio genitori abbandonici, lutti precoci, ecc.) che creano terreno fertile per la depressione, e così via. Preferisco, qui, soffermarmi sulla costellazione specifica di alterazioni del Sé che si riscontra nel soggetto depresso.
La paura profonda è l’emozione più determinante. Una carenza più o meno grave di protezione comporta nella persona insicurezza e chiusura verso il mondo. La chiusura favorisce il proliferare delle fantasie e inibisce la curiosità e l’esplorazione. La paura, che è forte e incistata nella memoria corporea, si nutre anche di un’attività mentale scoordinata, che non distingue la realtà dai propri fantasmi interni. La paura è pervasiva e si giunge a dubitare della propria capacità di cavarsela nella vita. Se la tristezza e il pianto riescono a conquistare dello spazio, allora è possibile che la morbidezza si insinui nel cuore della paura e allenti un po’ la contrazione che la caratterizza. Laddove, al contrario, prevalgono freddezza e ostilità, non possono escludersi derive autolesioniste. Nella depressione, infatti, riveste un ruolo non secondario la rabbia compressa (per non aver ricevuto riconoscimento, considerazione, amore…), che invece di rivolgersi direttamente verso gli altri tende a dirigersi su di sé. L’angoscia aumenta il senso di chiusura e il pensiero razionale è avvolto da fantasie negative sempre uguali, ormai sclerotizzate. La postura è ritratta e la poca forza a disposizione è tutta impiegata per “resistere” e trattenere. Il depresso manca di ironia e fatica a sdrammatizzare. La sua immaginazione progettuale è assente. La vitalità ovviamente è bloccata nella morsa della paura. L’azione nel mondo è paralizzata dall’autocritica e dalla sfiducia cronica. Il controllo permanente sulla paura, non solo risulta inefficace ma impedisce di aprirsi al contatto con le altre persone, riducendo al minimo le possibilità di condivisione. Le sensazioni interne sono anestetizzate e difficilmente raggiungibili. Il quadro che ho descritto inevitabilmente si offre con differenti gradazioni: esistono sindromi depressive poco gravi, vissuti episodici di abbattimento e scoraggiamento, forme patologiche che affondano le radici a livello organico o nella storia di attaccamento dell’individuo, tendenze di fondo a oscillare tra euforia e depressione, ecc. Quel che è più importante è comprendere il peso che la paura, la chiusura rabbiosa e lo scollegamento tra il mentale e il corporeo, ricoprono nel fenomeno. Riconosciute queste coordinate si possono mettere in campo – sul versante clinico, della prevenzione e culturale – azioni concrete e mirate per migliorare le condizioni di vita delle persone.
dott. Roberto Costantini
Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona