La reattività è una piaga sociale tra le più devastanti, i suoi effetti sono palesi sul versante delle relazioni intime, della vita politica, del lavoro. Potrei definirla come una risposta comportamentale, immediata e incontrollata, all’iniziativa e agli stimoli provenienti da una persona o da una specifica situazione. Questa risposta implica rabbia e può collegarsi alla modalità ribelle del bambino e dell’adolescente, che cerca di definire la sua identità ponendosi “contro” le figure che incarnano l’autorità. Va detto che una quota di reattività “sana” permette, nel passaggio non facile dall’adolescenza/giovinezza all’età adulta, di modellare la propria personalità differenziandosi dall’ambiente in cui si è cresciuti e affermando prospettive più personali sulla realtà condivisa. Tale movimento, tuttavia, rimane perlopiù contro-dipendente. L’oppositività ricopre, quindi, una precisa funzione evolutiva che ha bisogno di maturare nel tempo, pena il precipitare in atteggiamenti re-attivi scontati e pericolosi. Alla lunga il ribelle necessita sempre dello stimolo di un’altra persona per mettersi in movimento e, con questo, si priva della possibilità di prendere l’iniziativa, di decidere liberamente e agire in modo assertivo. Ciò implica una debolezza, un senso acuto di fragilità e impotenza, in quanto la reattività poggia sulla rabbia senza trasformarla, anzi rimanendo vittima di automatismi psicologici difficili da interrompere. L’iniziativa, a queste condizioni, viene presa dagli altri e si impone generando reazioni scomposte e inefficaci. La reattività fa affondare il soggetto nelle sabbie mobili del mentale, lo chiude nei suoi incastri neuronali e comportamentali, togliendogli le opzioni di scelta necessarie per avvicinarsi a sé e alla propria radice; può diventare collera e cortocircuitare con la sfera razionale. Ne consegue che un evento minimo (ad esempio una parola insinuante detta con sarcasmo) può suscitare nella persona risposte abnormi e violente. Questo grave disfunzionamento rende urgente la fuoriuscita dalla reattività e la riconnessione tra emozioni, sensazioni e pensieri. Se siamo determinati dall’esterno, cominciamo a sentirci schiavi di una dinamica senza via di uscita. Agire, al contrario, vuol dire partire da sé e dal radicamento nelle proprie sensazioni, portando all’esterno un’energia direzionata verso la soddisfazione dei nostri bisogni autentici. Per lasciarci alle spalle la reattività e l’impulsività distruttiva è fondamentale guarire le nostre ferite interiori e imparare ad accettare/trasformare le cose del passato che sono ancora attive dentro di noi. Questo primo e importante passo prelude a un secondo passaggio decisivo: attraverso il sentire possiamo ritrovare un collegamento con il cuore e andare verso un’evoluzione che si connoti per l’apertura nei confronti degli altri e della Vita. Grazie al potere curativo del perdono e dedicandoci quotidianamente allo sviluppo del nostro essere, possiamo distaccarci dalle vecchie modalità comportamentali, automatiche e apprese, ritrovando il piacere di partire da noi stessi.
dott. Roberto Costantini
Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona