DALLE FANTASIE VUOTE AL CONTATTO PIENO (Seconda parte)

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Abbiamo visto nel precedente editoriale che il bambino, in assenza di calore, contatto e protezione nel suo ambiente primario di cura, rischia di scollegarsi progressivamente dalla realtà. Per fuggire dall’insicurezza percepita il piccolo comincia a scappare anche da se stesso, temendo le sensazioni negative che si agitano in lui, costruendo nel proprio spazio mentale dei mondi di fantasia paralleli che non trovano più punti di contatto con la realtà condivisa di ogni giorno. Il fantasticare, le idealizzazioni e i rimuginii proliferano per aumentare le difese interne rispetto alla sofferenza e al vuoto affettivo. Questo processo assomiglia molto alle malattie autoimmuni: il mentale si presenta qui come un sistema difensivo in perenne cortocircuito.
I soggetti che crescono in questo modo sono sicuramente più influenzabili dall’ambiente esterno, più condizionabili. Senza una buona presa sulla realtà costoro finiscono facilmente in balia di chi vuole plagiarli. Ecco allora che possiamo descrivere precisamente il circolo vizioso che lega insieme disagio dei singoli e criticità socioeconomiche. Prendiamo il fenomeno del consumismo: l’invito seducente ad acquistare sempre nuove merci, riempendo la nostra vita di cose inutili, con il solo scopo di annoiarci di esse per desiderarne subito delle altre, rappresenta un’induzione molto forte al conformismo e al possesso. Questi messaggi di finta felicità attecchiscono immediatamente dove i soggetti sono più fragili, scollegati dalle sensazioni profonde e da relazioni umane significative. Al contempo, in un’ottica sociologica, possiamo dire che la società di mercato si fonda esattamente sul principio di sostituzione: al posto di relazioni autentiche e di legami sani si moltiplicano le offerte di consumo, le connessioni veloci e superficiali, in nome del narcisismo e della concorrenza di tutti contro tutti. Se pensiamo a un bambino appena nato troviamo allora che quest’ultimo viene accolto in una famiglia già immersa in un ambiente sociale colmo di tensioni, di messaggi competitivi, di insicurezze lavorative e di angosce dovute a un accelerato degrado ecologico.
È inevitabile che tutto questo arrivi, filtrato comunque dalla sensibilità dei genitori, ai figli che muovono inconsapevolmente i primi passi nella realtà storica a cui appartengono. Troviamo quindi che i condizionamenti sociali e le storie di attaccamento degli adulti operano sinergicamente creando forme di sofferenza molto specifiche a cui il bambino non sa far fronte. Tale scollegamento dal mondo emozionale interno e da quello esterno dei rapporti umani, può degenerare in forme di ritiro dalla vita associata che si nutrono di sogni ad occhi aperti, di immaginazioni disancorate da qualsiasi terreno comune. L’effetto di questa dinamica è che l’unico terreno comune diventi paradossalmente quello della separazione da sé e dagli altri, dell’individualismo, della guerra permanente o del vittimismo lamentoso. Bisogna allora trasformare le fantasie e le illusioni in discernimento, e lavorare sui sogni per incanalarli in progetti veri e propri, progetti sostenibili che abbiano ricadute positive su di noi e sul prossimo. Senza lo slancio verso un’autentica pienezza umana, rischiamo che prendano ancora più campo le dipendenze patologiche e si laceri definitivamente il tessuto che intreccia insieme la vita dei singoli e quella della collettività. Dobbiamo, in altre parole, recuperare un contatto finalmente pieno con la realtà, fatto di cura, dialogo e ascolto.

 

dott. Roberto Costantini

Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling  Sede di Ancona

 

 

 

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