Osservando il respiro delle persone si possono cogliere molte informazioni. Il ciclo respiratorio – che si dà nell’alternanza delle fasi di inspirazione ed espirazione – risente dei vissuti emozionali suscitati dalla realtà di ogni giorno, tuttavia per comprendere le modalità abituali di respiro occorre andare indietro nel tempo. Infatti, le relazioni di attaccamento primarie, quelle con i nostri genitori e con le figure educative più importanti durante l’infanzia, determinano la qualità del respiro e, in situazioni conflittuali o cariche d’ansia, spostano un po’ alla volta la respirazione verso l’alto fissando un sottostante senso di allarme.
Il respiro non è più spontaneamente diaframmatico, bensì toracico e alto, e ciò implica un crescente controllo sulle proprie sensazioni. Queste alterazioni non sono l’esito di un singolo evento traumatico, ma derivano dalla continuità con la quale il processo ambientale/familiare si imprime nella memoria corporea del bambino e futuro adulto. Esse rimangono attive nonostante gli eventi critici siano ormai passati.
In assenza di concreti motivi esterni possiamo comunque trovarci tesi, ansiosi e preoccupati.
Le emozioni negative incistate, le posture poco mobili e il respiro imprigionato in forme eccessivamente statiche, si configurano infatti come “stimoli fantasma” che sollecitano l’organismo facendogli percepire condizioni di stress e pericolo anche dove non ci sono. Il respiro alto, trattenuto e forzato ci porta a chiuderci, inibisce l’esplorazione e l’apertura alla vita, riducendo drasticamente il contatto con le sensazioni del corpo. L’attività mentale diventa rimuginio e prolifera senza un centro allontanandoci dal qui e ora. Perdendo la sua funzione organizzativa, la mente comincia a girare a vuoto e i pensieri negativi (soprattutto quelli legati al passato) prendono il sopravvento e captano l’attenzione della persona conducendola nel labirinto dei dubbi, delle ipotesi assurde, delle previsioni catastrofiche. In queste condizioni è difficile rispettare i nostri tempi, andiamo di fretta quasi per scappare da noi stessi, e ci stanchiamo facilmente perché corpo, sensazioni, bisogni e processo mentale non sono più allineati e coordinati.
Trascinati all’indietro dai rimpianti o protesi verso un futuro minaccioso che vorremmo anticipare ansiosamente, rischiamo di vivere sbilanciati, fuori da noi stessi, alla ricerca di un controllo totale e impossibile sugli eventi dell’esistenza. Come liberarci? Sicuramente anteponendo lo stare con noi stessi al fare tanto per fare, all’agitazione priva di meta. Lavorare sul respiro diventa dunque prioritario, perché il contatto con noi non può schiudersi senza un respiro calmo e fluido. Dobbiamo restituire armonia al nostro Essere, ristabilendo una centratura che ci consenta di costruire la realtà partendo da dentro, smettendo gradualmente di modellarci sulle aspettative esterne e ritrovando una relazione più autentica con la nostra interiorità. Bisogna, in altre parole, riprendere a respirare la vita a pieni polmoni.
dott. Roberto Costantini
Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona