Spesso mi chiedo su quali meccanismi spinga il sistema per avere così tanto potere su di noi. Poi mi viene in mente il bisogno di accettazione e di riconoscimento che tutti noi abbiamo. Allora è evidente che il bisogno di essere accettati si estenda anche alla sfera sociale e collettiva con la stessa urgenza con la quale il bambino si rivolge alla madre nei primi anni di vita. Quando lavoro con i miei pazienti mi rendo conto che troppo spesso questo bisogno è rimasto inappagato e non si è trasformato, dopo un attraversamento positivo e completo, in capacità interna di riconoscersi e di darsi valore. La persona, in questi casi, rimane con un’insicurezza interna più o meno profonda che la rende ipersensibile ai rifiuti. Se ci sentiamo così deboli e a rischio di andare in pezzi, sarà più facile “scegliere” di omologarci e conformarci agli schemi sociali dominanti pur di non sperimentare rifiuto, isolamento e senso di estraneità. Se la sicurezza non si è sedimentata e non ha messo radici, mancheranno la determinazione e la serenità necessarie per mettere in discussione gli schemi che avvertiamo come limitanti e contrari ai nostri valori. Accettarli passivamente significa, invece, che ci aspettiamo dal loro rispetto la garanzia di non essere esclusi, di far ancora parte del gruppo umano a cui apparteniamo. Se la sicurezza fosse ben fondata dentro di noi non avremmo la tentazione di appiattirci sui codici sociali e la certezza di doverli assimilare per sopravvivere. Il sistema agisce su questo e le figure genitoriali si fanno, spesso inconsapevolmente, portavoce di una logica di potere che alimenta l’angoscia di diventare vittime dei giudizi della gente, di scostarsi dal tipo umano medio sul quale il sistema vorremmo che tutti ci modellassimo. Questa paura sociale, veicolata anche dalla famiglia, induce omologazione e costringe i singoli a rimanere prigionieri nel recinto delle abitudini e delle convenzioni socialmente accettate. Il messaggio tramandato ai figli dagli adulti diventa allora drammatico e centrato su doverismi e altre stereotipie comportamentali ben precise. Questa dinamica toglie spazio alla possibilità di essere se stessi e di esprimere liberamente emozioni, pensieri, valori e aspirazioni autentici.
Il bambino si deve adeguare ai rituali sociali sacrificando la propria spontaneità per ottenere accoglienza e riconoscimento in famiglia e nella dimensione sociale. Il controllo così si installa nella psiche profonda dell’individuo e si perpetua nelle generazioni successive mantenendo ferma e indiscussa la catena di condizionamenti che il sistema intende rinnovare per garantire il proprio dominio incontrastato.
dott. Roberto Costantini
Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona