Counseling e famiglia

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Condividiamo dei frammenti selezionati dalla tesi che la counselor Mila Bianco ha realizzato per concludere i tre anni del Master in Counseling ASPIC.

COUNSELING E FAMIGLIA

Utilizzando una metafora, immagino che con la mia famiglia stiamo scrivendo la nostra storia e la stiamo scrivendo utilizzando parole provenienti da lingue diverse. Prima conoscevo solo una lingua e quando leggevo ciò che stavamo scrivendo avevo un unico livello di comprensione. Oggi conosco diverse lingue, tante quanti sono gli approcci che il corso di counseling pluralistico-integrato mi ha messo a disposizione. Alcune di queste lingue sono più semplici per me da comprendere e ricordare, altre meno. Ognuna, comunque, mi dà l’occasione di rileggere lo stesso evento cogliendo quelle parole, quei segni, che prima non avevo colto e quindi comprendendo sempre qualcosa di più (…).

Tutti siamo nati e cresciuti all’interno di una famiglia e, qualunque forma essa abbia assunto, per noi ha rappresentato la normalità. Quando, direttamente o indirettamente, entriamo in contatto con famiglie differenti – quelle di amici e conoscenti o quelle che vediamo in qualche schermo – il punto di partenza per approcciarle e conoscerle è proprio l’idea di famiglia che abbiamo introiettato. Quando incontriamo una persona che ci interessa, un potenziale partner, può capitare che ci raccontiamo delle esperienze di vita, e magari facciamo caso a quanto siano vicine o lontane dalle nostre. Raramente, però, ci viene in mente di confrontarci sulle nostre idee di famiglia per verificarne la compatibilità. La famiglia che abbiamo interiorizzato è talmente un concetto assoluto per noi che in molti casi non ne abbiamo nemmeno consapevolezza (…).

Nell’ambito della comunicazione una delle regole di base cita: “la mappa non è il territorio”. Ciò che percepiamo con i sensi produce in noi una rappresentazione soggettiva della realtà. La nostra rappresentazione è altra rispetto alla realtà ed è valida né più né meno delle rappresentazioni altrui. Questo concetto, semplice da comprendere ma meno da accettare, è applicabile ad ogni esperienza, inclusa quella familiare (…).

La famiglia, come concetto e come struttura, si è trasformata nel tempo e nello spazio.
Oggi tende ad essere sempre meno numerosa, tanto che si contano un numero importante di famiglie monoparentali ed unipersonali. Nello stesso tempo la famiglia tende a chiudersi sempre più su sé stessa concentrandosi sulla soddisfazione dei bisogni dei suoi (pochi) componenti. Il prolungamento del ciclo di studi e il ritardo con cui si entra nel mondo del lavoro ha posticipato, inoltre, il momento dell’uscita dalla famiglia di origine dei figli ormai adulti. Di conseguenza si diventa genitori in età più avanzata rispetto al passato. L’aumento delle separazioni, dei divorzi, così come delle convivenze e delle famiglie ricostituite, comporta che il senso di famiglia oggi non sia più legato come in passato a vincoli legali. Sempre di più, invece, sono le relazioni intime ed i legami affettivi più significativi che permettono di individuare la propria “vera” famiglia (…).

La famiglia, come un qualsiasi organismo vivente, percorre un ciclo di vita. Secondo questo modello teorico, la famiglia segue un’evoluzione che parte dalla nascita e passa attraverso un processo trasformativo in cui possono essere identificate delle tappe evolutive. Le trasformazioni vengono stimolate da eventi che portano un cambiamento nei bisogni di alcuni o di tutti i componenti. L’equilibrio esistente periodicamente non va più bene e sorge la necessità di trovarne uno nuovo (…).

Le fasi principali posso essere così sintetizzate:

  • la formazione della coppia;
  • dalla coppia alla famiglia;
  • la famiglia con bambini;
  • la famiglia con figli adolescenti;
  • la famiglia con figli adulti;
  • la famiglia in età anziana (…).

In passato sono sempre scappata. Abbandonavo il campo in cerca della salvezza.
Mi raccontavo che stavo lasciando indietro la zavorra, l’“uomo nero”. Oggi comprendo che la mia salvezza può arrivare solo avendo il coraggio di guardarmi allo specchio e vedere quello che più mi spaventa: che l’“uomo nero” è dentro di me.

Per assumermi la responsabilità delle mie azioni ho avuto bisogno di comprendere e digerire bene la differenza, in ogni circostanza, fra responsabilità e colpa (…).

La conoscenza di come “funzioniamo” mi permette, a distanza di ore, a volte di giorni o settimane, di individuare quale sia l’elemento di crescita che posso cogliere da una determinata situazione (anche critica). Ora so che, se ancora alcune delle mie interazioni in famiglia non sono cambiate, è perché c’è qualcosa dentro di me che non è cambiato.

La domanda fatidica che mi faccio è: cosa posso apprendere da questo evento? Cosa c’è che posso prendere per me? (…).

Essermi data, nell’ambito protetto del counseling, il permesso di esistere, di giocare e di sbagliare, mi ha poi permesso gradualmente di concedere questo dono anche ai miei figli. Certo, ancora oggi capita che io perda la pazienza, ma sempre più di rado e sempre meno intensamente. Sto iniziando a prendere le misure, a digerire le esperienze e a calibrare le risposte. Una parte di strada è stata fatta. L’altra parte, quella che sto facendo ora, è la strada del perdono (…).

Il modo di essere e di interagire della famiglia è fortemente influenzato dalla situazione socio-economica e culturale in cui si trova a vivere. In questo momento un sistema-famiglia che già da alcuni decenni aveva mostrato la tendenza a chiudersi, è costretto a farlo ancora di più. Chiudersi rispetto all’esterno, richiudersi su sé stesso. La mia esperienza personale, diretta ed indiretta, mi porta a sentire che questo non è un bene, né per la famiglia né per i suoi componenti. Il counseling, con la sua indole pedagogica e divulgativa, può rappresentare un’àncora di salvezza. Lo è stato per me e ritengo possa esserlo per molti (…).

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