DILATARE L’ISTANTE, COLTIVARE LO SPIRITO DI PRESENZA

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Ci sono infiniti modi per descrivere la vita, forse il più scontato è quello che la fa coincidere con un insieme di istanti che si avvicendano senza posa. Eppure è interessante chiederci come riusciamo a viverli questi preziosi e sfuggenti momenti di vita. Il primo impatto, nel qui e ora, è quello di sperimentare la realtà filtrandola attraverso la nostra impalcatura sensoriale e percettiva. Si può andare anche oltre con la capacità di espandere la nostra coscienza, ma questo è un capitolo a parte. Per adesso può bastarci l’obiettivo di mantenere abbastanza elevata la qualità della nostra vita, evitando la trappola dello stress psicofisico. Ci servono, per questo, presenza a noi stessi e disponibilità a dar spazio alle sensazioni interne. Purtroppo molte persone non trovano il ritmo giusto, e diventano prede di una fretta e di un allarme che sono parte integrante di un modo di vivere sempre spostato sul “fare”, un fare compulsivo finalizzato al successo sociale. Chi si lascia travolgere da questo attivismo esagerato consuma rapidamente le sue energie e si sente svuotato nonostante saltuari momenti di entusiasmo. Non parlo, ovviamente, del piacere e della soddisfazione che proviamo quando raggiungiamo un obiettivo significativo, ma della tendenza (culturalmente indotta) ad andare sempre di corsa, incapaci di fermarci e di godere quel che la vita ci offre di eterno in ogni istante. Per uscire dal labirinto della fretta e del fare tanto per fare, dobbiamo imparare a dilatare l’istante e a rimanere centrati dentro noi anche quando svolgiamo un’attività che esige risultati in tempi brevi. Ma quali sono i principali nemici dello spirito di presenza, della calma e dell’ascolto di noi stessi? Innanzitutto le paure automatiche, antiche, incistate nello psichesoma e ormai scollegate dai dati di realtà attuali. Poi le preoccupazioni continue, vale a dire quell’anticipare ansiosamente ogni evento del futuro fino a renderlo minaccioso e ingestibile. Anche i doverismi, che derivano perlopiù dai modelli genitoriali introiettati, gravano su di noi e ci convincono che non andiamo bene se non “facciamo” qualcosa. L’arma condivisa da questi nemici del momento presente è il controllo, che diventa rigido e ipertrofico, incapsulando le sensazioni e uccidendo il piacere. Allora il “minimo sindacale”, tanto per cominciare, è quello di allontanarsi dal traffico, dagli stimoli invadenti della città e delle nuove tecnologie digitali, per vivere uno spazio naturale in cui respirare profondamente e stare con le sensazioni, incantandosi un po’, senza dover fare altro che sentire dentro e intorno a noi il pulsare della vita. Il vento, l’erba, il cielo, il mare. Bisogna fermarci per riconoscere quanto sia vasto e profondo anche il più piccolo istante.

 

dott. Roberto Costantini

Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling  Sede di Ancona

 

 

 

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