Un po’ di tempo fa, durante una pausa pranzo, ero affacciato alla finestra e mi intrattenevo con alcuni pensieri sulla natura delle nostre relazioni quotidiane con gli altri. All’improvviso, nel parcheggio sottostante allo stabile, ho assistito a una scena interessante. Un’automobile è entrata a velocità sostenuta per cercare posteggio. Il disinvolto conducente ha tentato, senza prestare la dovuta attenzione, di inserirsi in fretta e furia in uno spazio ridotto tra due veicoli parcheggiati.
La faccio breve: ha preso male le misure rovinando con la parte anteriore dell’auto la fiancata dell’auto ferma alla sua destra. Poi è sceso, si è guardato attorno e, veloce come era arrivato, si è dato a una fuga altrettanto rapida. Nessun rimorso, nessun tentativo di confrontarsi con il danno arrecato a uno sconosciuto. Questo episodio banale mi ha suscitato alcune riflessioni. La prima è che il caso non esiste e, come dice lo Ho’oponopono, se ho assistito a questo evento anche io ho una responsabilità al riguardo. Ho preso infatti la targa del “furbetto” e l’ho fatta avere al proprietario dell’auto danneggiata. La seconda riflessione, certo un po’ amara e persino dura, ruota attorno a un passaggio geniale del romanzo “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia.
Il passo in questione recita così: « Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…».
Se ci guardiamo attorno vediamo che quelli volgarmente definiti “pigliainculo” sono in costante balia dei mezzi uomini e degli ominicchi, mentre i quaquaraquà abbondano e crescono a dismisura. La situazione, insomma, non è delle più confortanti. Per questo, dicevo tra me e me, se gli uomini sono così rari è necessario guardarci dentro e lavorare a fondo per far sì che essi possano crescere in numero e dignità. Questo è il percorso di una vita e, com’è chiaro, non può che partire da noi stessi. Continueremo a parlarne nel prossimo editoriale…