di Roberto Costantini
Il processo di idealizzazione è tipico del bambino, il quale subisce il suo ambiente genitoriale con eventi forti e pieni di sofferenza. Le liti tra adulti, e le dinamiche conflittuali che attraversano lo spazio domestico, mettono il piccolo in una situazione di allarme in cui paura e terrore possono prendere piede. In queste condizioni è difficile andare avanti se non si attiva un processo di sogni a occhi aperti e di idealizzazione rispetto a una realtà che risulta insopportabile. Pensare e sognare una realtà totalmente diversa mette il bambino prima, e l’adolescente poi, nella posizione di chi reclama ciò che la vita non ha concesso fino a quel momento. Idealizzare il futuro è allora una strategia utile per tollerare il presente o quantomeno non esserne schiacciati. Tuttavia questo meccanismo rimane anche da adulti. La persona altera la percezione attuale con l’immaginazione, prendendo la distanza dal qui e ora, per abitare momentaneamente una realtà dilatata e più intensa: come se fosse impossibile leggere, decodificare e vivere il qui e ora per quello che è. Dove la fantasia eccessiva si afferma vengono a mancare le precondizioni per agire efficacemente verso la soddisfazione matura dei bisogni.. L’insicurezza, infatti, spinge verso la fuga dalla realtà mentre l’immaginazione proietta nel futuro la speranza di una condizione migliore, di un risarcimento complessivo per i dolori patiti. In questo modo l’adulto fa la stessa cosa che faceva da bambino: rifiutare parzialmente la realtà e costruire un’illusione per sopravvivere. Ma, lo sappiamo bene, sopravvivere non è Vivere e l’immaginazione va usata per trasformare il presente, non per tenerlo in un’animazione sospesa.