Condividiamo dei frammenti selezionati dalla tesi che la counselor Daniela Cerfeda ha realizzato per concludere i tre anni del Master in Counseling ASPIC.
IL CONTRIBUTO DEL COUNSELING NEL GRUPPO DI MUTUO AIUTO SUL MOBBING
Ci troviamo nell’era della società post-industriale dove prevalgono ambizioni sfrenate non supportate da altrettante capacità, la carriera diventa carrierismo, la sana competitività viene distorta in favore dell’impedimento della carriera all’altro con ogni mezzo, le energie rivolte alla distruttività anziché alla creatività personale e dell’impresa. Una società consumistica e materialista volta al possesso di accaparrarsi l’oggetto idealizzato da comprare-ottenere, diventa simbolo di processi vitali, mira a sostituire le necessità affettive di comunicazione, di equilibrio, di amore, di ben-essere con l’onnipotenza, il narcisismo, l’esibizione, la trasgressione, il dominio perverso e dalla volontà di apparire a tutti i costi. In quest’ottica i luoghi di lavoro, oggi, diventano luogo primario di questo tipo di violenza, riutilizzando la violenza come legittima, forzando l’accettazione di regole e convenzioni, divieti e punizioni: questo tipo di violenza si camuffa sotto il profilo del doverismo, della rigidità verticistica, fa leva sulla paura, sulla debolezza, sull’ignorare e sul non informare, quindi impedisce la
libertà di scelta e di decisione consapevole reificando costantemente la dipendenza, la sottomissione e la non differenza, distrugge la possibilità di identità e di individualità e la capacità di relazione, formando una specie di pallido rapporto di natura impersonale regolato da pregiudizi, convenzioni, obblighi, in cui la violenza diventa legale e illegale.
Non sembra esservi una definizione comunemente accettata sul mobbing. Vi è invece una serie di definizioni elaborate da singoli ricercatori, organizzazioni, autorità nazionali ecc., che differiscono in parte per orientamenti ed enfasi. Il concetto di mobbing è una cornice che raccoglie vari tipi di condotta accomunati dalla caratteristica di essere costituiti da atti destinati a provocare sofferenze, disagi e mortificazioni a carico di un determinato soggetto in ambito lavorativo.
I fenomeni di mobbing, anche se di recente teorizzazione, sono riconducibili all’archetipo del capro espiatorio e come tali sono insiti nei copioni associativi degli umani e ne accompagnano la storia, dalle tribù arcaiche alle più attuali tribù aziendali. Il mobbing inizia quando il dipendente o il dirigente non è in sintonia con le idee o con le scelte del capo, che a qualsiasi livello dirigenziale pubblico o privato è comunque padrone assoluto di quel tipo di mansione o funzione o ruolo; o con le idee e decisioni del gruppo dominante; o quando manca l’affiliazione, o l’approvazione del gruppo dominante; oppure la persona rivendica diritti che non gli vengono riconosciuti perché deve diventare di altri la possibilità di accedere a quella carica, a quelle risorse; oppure quando si entra in collisione col potente della situazione; quando ci sono molte persone con la stessa funzione che dovrebbero accedere al livello superiore; o quando bisogna immettere personale per creare un nuovo servizio e nessuno vuole andare a lavorare con un certo direttore o trasferirsi; quando non si hanno sponsor o protettori. A questo punto la vittima stringe i denti, lavora di più, si preoccupa di non commettere errori, cerca di spezzare il muro sempre più spesso dell’isolamento, aspetta e in genere non si può sapere per quanto tempo o forse deve aspettare per sempre. Di conseguenza quando si cade in disgrazia per uno dei suddetti motivi e non si ha copertura inizia il MOBBING.
Se si prendono in considerazione gli attori dei comportamenti vessatori, allora potremo distinguere tra mobbing verticale e orizzontale. Il mobbing verticale (discendente o dall’alto) consiste in violenze psicologiche messe in atto da un superiore ai danni della vittima. Tali azioni possono essere dirette o indirette (perpetrate con l’aiuto dei colleghi della vittima) e mirano a escludere dall’azienda un lavoratore scomodo o sgradito costringendolo al licenziamento. (…) Il mobbing verticale può essere di tipo organizzativo (o strategico) o corporativo. Il mobbing orizzontale si verifica quando le azioni vessatorie sono messe in atto dai colleghi pari grado ai danni della vittima. Anche qui le motivazioni possono essere molte, come la competizione, l’invidia, il razzismo, il campanilismo, la fede politica diversa, ecc. Il mobbing può essere leggero se gli atti persecutori sono sottili e poco appariscenti, ma non per questo meno pericolosi, o pesanti nel caso le azioni sono palesi e violente.
Esiste anche una tipologia di mobbing più rara, che è il mobbing ascendente o dal basso. Esso si verifica quando un lavoratore con mansioni superiori viene reso vittima da lavoratori con mansioni inferiori. In tal caso, viene messa in discussione l’autorità di un superiore e pertanto l’obiettivo è quello di esautorare la vittima. Il mobbing provoca molti danni non solo alla vittima, ma anche all’organizzazione e, in misura minore, al mobber stesso. Molte ricerche hanno dimostrato come il mobbing abbia ripercussioni dirette sullo stato psico-fisico delle vittime, con una lunga serie di disturbi, somatizzazione e malattie varie. Una delle sindromi che più colpisce la vittima di mobbing è la sindrome di “attacco di panico”, con sensazione di morte imminente e contemporaneamente perdita del controllo di sé stessi.
I gruppi di auto-aiuto sono gruppi ristretti, fondati su un’interazione faccia a faccia e composti da membri che condividono condizioni situazioni retaggi disagi o esperienze comuni. L’auto-aiuto ha come obiettivo il superamento di condizioni di powerlessness, ossia la mancanza di potere a livello individuale e collettivo, aumentando il senso di autoefficacia degli individui ampliandone le possibilità di scelta e conseguentemente di azione. Il gruppo diviene punto di riferimento per i membri, un luogo di incontro e identificazione. il fine ultimo dei gruppi di auto-aiuto è quindi identificabile in una azione tipica di empowerment nella quale il coinvolgimento globale del gruppo agisce sia in direzione di aspetti collettivi sia in direzione di aspetti individuali.
Così come nella relazione di aiuto individuale anche all’interno del gruppo, il counselor punterà a favorire nei partecipanti il self empowerment, stimolando la valorizzazione delle risorse individuali e ambientali; a facilitare l’adozione di nuovi comportamenti adattivi nel contesto di riferimento; a promuovere la pianificazione responsabile degli obiettivi personali e rafforzare la presa di decisione; a innalzare il livello di autostima anche a partire da un più efficace fronteggiamento delle difficoltà esistenziali, agevolando l’interazione cognitiva/emotiva dei vissuti emergenti. Agevolerà l’attivazione di una comunicazione circolare all’interno del gruppo, consentendo a ciascuno la possibilità di esprimersi nel rispetto di sé e degli altri. Il counselor sia nella relazione diretta con il singolo partecipante, sia nella conduzione del gruppo nel singolo incontro che nell’intero percorso, farà riferimento alle quattro fasi del processo del ciclo di contatto gestaltico.
La filosofia dei gruppi di mutuo-aiuto è credere nella vita. Questo pensiero deriva dalla sperimentazione che si è importante per l’altro. È quello che dà il senso del “noi”. È il sentirsi amati da qualcuno. È il coinvolgimento e la condivisione del disagio, è la trasmissione di fiducia nelle nostre potenzialità che porta a credere in sé stessi. La partecipazione al gruppo coinvolge il livello cognitivo, conoscitivo e comportamentale insieme a quello emotivo, affettivo e relazionale. Il gruppo promuove una sensibilizzazione nei confronti di ciò che accade sia a sé stessi sia nelle relazioni con gli altri, favorisce la revisione dei propri schemi comportamentali e di pensiero, riduce lo stigma sociale (depresso, alcolista, bulimico, mobbizzato…) attraverso l’identificazione così da aumentare l’accettazione di sé.
La condivisione dell’esperienza attiva un duplice processo di destrutturazione e di ristrutturazione.
La destrutturazione del problema avviene in tre fasi successive:
– Il riconoscimento del problema, attraverso la definizione del problema reale (sono un alcolista, un depresso, un mobbizzato…).
– La condivisione di informazioni e di strategie di soluzione del problema e delle difficoltà ad esso connesse.
– La destigmatizzazione, cioè il tentativo di eliminare l’etichettamento sociale percepito
dai membri nei loro confronti e nei confronti del loro problema.
La ristrutturazione (imparare facendo) riguarda, invece, tutti i processi e le attività finalizzati al raggiungimento di una nuova definizione di sé e di nuovi stili di vita soddisfacenti, ed è l’insieme dei progetti e delle attività cooperative ideati e condivisi dai membri del gruppo. L’esistenza di un progetto di un lavoro permette a ciascuno di indirizzare le proprie energie verso una serie di realizzazioni e attività che contribuiscono ad aumentare, se correttamente gestite, il rispetto di sé e il senso di autonomia.