Mantenere in vita i propri attaccamenti significa muoversi all’interno della propria zona di comfort. Proprio qui la persona subisce le polarità di bisogni non appagati. Dentro questi confini ci sono luci e ombre, ma prevalgono soprattutto le scissioni e le questioni irrisolte. Tante volte mi sono interrogato sulla ricerca di una crescente qualità della vita e la risposta che mi è parsa più convincente può essere sintetizzata nella parola “consapevolezza”. Ho incontrato molte persone che non si sono volute mettere in gioco a questo livello e ciò ha sempre comportato un far pagare agli altri i propri disfunzionamenti, soprattutto al partner e ai figli. Invece di mettersi in discussione gli umani tendono a “metter in atto”. Se non accetta di confrontarsi profondamente con se stessa, la persona finisce per criticare, incolpare e proiettare le sue ombre sugli altri. Ciò che rifiuta di sé lo vede, senza riconoscerne le origini, nei comportamenti dell’altro, che viene facilmente trasformato in un capro espiatorio. La percezione della realtà si altera se predomina la difesa della proiezione. Tutto questo si traduce in una stasi nella quale il soggetto si crogiola, scaricando altrove le responsabilità e rinunciando a modificare se stesso. Il gioco incrociato e crudele dei giudizi, delle colpe e della rabbia, non rappresenta certo la strada per migliorarci e convivere pacificamente. Non si può crescere in umanità se siamo dominati dalla reattività e dal rancore. Solo prendendoci la responsabilità di ciò che mettiamo in atto, delle nostre abitudini, si può invece iniziar un percorso differente e ricco di futuro.
dott. Roberto Costantini
Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona