LA TRAPPOLA DEL VITTIMISMO – PARTE SECONDA

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di Roberto Costantini

La vittima compiaciuta pretende e non si prende la responsabilità delle proprie azioni. Lo sguardo, critico e giudicante, incenerisce le altre persone. La predisposizione a sentirsi trascurata e maltrattata mette in movimento il noto meccanismo della profezia che si autoavvera. La persona che nuota nel vittimismo assume comportamenti che puntualmente inducono gli altri a tenerla a distanza e persino a rifiutarla. Viene così confermato il copione: “nessuno mi vuole, nessuno comprende quanto io soffra (e per colpe non mie!)”. Questa sceneggiatura scontata termina, quasi sempre, con le critiche che la vittima muove a chiunque osi sollecitarla a un cambio di vita. Colpevolizzando l’insensibilità del prossimo, la vittima continua a sentirsi nel giusto, in attesa di un risarcimento impossibile per le frustrazioni subite nel corso dell’esistenza. L’atteggiamento vittimistico tiene comunque inchiodati a un destino fatto di reattività: il mondo è cattivo con me e io esprimo verso di esso la mia rabbia in forma di giudizi aspri e inappellabili. Pensare di essere le vittime designate tiene in vita l’aspettativa infantile che siano gli altri a salvarci, a tirarci fuori dai problemi piccoli e grandi che ci assediano. In gioco, qui, c’è una forte dipendenza, soprattutto dal mentale e dai suoi pensieri parassiti (rimuginio, dubbi, recriminazioni, negatività…). Se il soggetto non si prende la responsabilità della propria vita, di ciò che può effettivamente cambiare, è facile che non riesca mai ad uscire dal labirinto delle lamentazioni e dei rancori. Crescere è un rischio, certo, così come lo è abbandonare certe difese adottate per molto tempo. Tuttavia non correre questo rischio significa pietrificarsi in una posizione esistenziale sterile e ipocrita. Invece di rimproverare ogni giorno l’intera realtà per il fatto di non essere come “dovrebbe”, è forse il caso di risvegliare in noi il desiderio di prendere parte al gioco dell’esistenza con coraggio e passione. Affinché possa spezzarsi il circolo vizioso che fa di una vittima il peggiore persecutore degli altri e di se stesso.

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