di Roberto Costantini
Ci sono tanti modi che noi mettiamo in atto quando manteniamo in vita le nostre fratture percettive interne. Uno molto comune è il giudizio, che porta a rifiutare e a mettere distanza rispetto ad eventi e persone che suscitano in noi del fastidio. Ma il giudizio non è mai una soluzione, piuttosto tiene in vita il problema e separa la nostra stessa esperienza interna in poli contrapposti. Quando continuiamo nell’automatismo del giudizio inevitabilmente ci allontaniamo dal cuore e dalla comprensione. Continuiamo ad abitare un fastidio, una separazione che alimenta il mentale e un’adesione assolutistica alle nostre posizioni percepite come verità incontrovertibili. Spesso quando ci sentiamo giudicati ci mettiamo sulle difensive, andiamo nel rifiuto e nell’intolleranza reciproca. Ciò accade perché il giudizio ci colpisce profondamente. Ma il giudizio esprime solo un punto di vista e il mentale così nutre la dicotomia giusto/sbagliato. Allora difendersi quando veniamo giudicati significa diventare piccoli e sentirsi sbagliati, credendo senza filtri al punto di vista e alle fratture percettive dell’altro. L’esercizio, invece, è quello di accettare il giudizio e dire “bene, grazie”, rimanendo adulti e nell’accettazione, poiché ogni giudizio per noi è un interessante punto di vista dell’altra persona, e non la verità definitiva su di noi. In questo modo non blocchiamo l’energia con la chiusura sentendoci sbagliati, ma facciamo fluire accettando con intelligenza e ironia. Questo è l’obiettivo: divertirci nell’accogliere i giudizi, sapendoli punti di vista che ci aiutano a disidentificarci da schemi culturali rigidi. Un divertimento non superficiale, piuttosto l’arte di liberarsi dalla catene con un sorriso.