Il tema delle modificazioni corporee – piercing, tatuaggi, scarificazioni… – è ricco di risvolti psicologici e culturali. Il corpo umano, del resto, non è affatto “naturale”, nel senso che esso rientra fin dalla nascita in una rete di scambi simbolici che lo caratterizzano come corpo inculturato. Tutte le società prevedono ornamenti e “scritture” che coinvolgono i corpi: dal trucco al vestiario, dai tatuaggi ad altre forme ostensive che fanno del corpo un portatore di messaggi complessi. Il corpo segnato, quindi, dice di un’appartenenza e racconta il suo essere storicamente modellato da miti, valori e simboli che transitano tra le persone e le accomunano (pur nelle differenze). La modernità occidentale, e l’emergere di un individuo sempre più sganciato dai vincoli della socialità primaria, fanno sì che le modificazioni corporee agite dentro i contenitori comunitari diventino spesso una questione estetica o di espressione di sé con coloriture psicologiche. Si pensi al fenomeno della chirurgia plastica e all’enorme quantità di denaro che circola in questo settore. Qui domandiamoci solo: quali motivazioni biografiche e antropologiche spingono i soggetti a modificare il proprio corpo trasformandolo e presentandolo agli altri (oltre che a se stessi) in determinate sembianze? Le concause che inducono a forare, dipingere, scarificare, abbellire o abbruttire volutamente il proprio corpo, possono essere cercate oggi al crocevia tra alcuni bisogni. Ecco i principali: 1) effettuare un cambiamento, accompagnato anche da dosi di sofferenza più o meno intense, che compensi l’assenza nella nostra cultura di adeguati riti di iniziazione (ad esempio nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta); 2) rendersi attraenti o semplicemente accettabili nel rispetto dei codici estetici di un determinato gruppo umano; 3) rivendicare sul proprio corpo – che per definizione è fin dalla nascita un “corpo ricevuto” investito dal desiderio dell’altro – un qualche controllo e il diritto di separarsi dalle aspettative genitoriali; 4) esprimere difensivamente un rifiuto per il proprio corpo, aggredendolo e deturpandolo (mandando con questo un segnale alle altre persone, da cui ci si aspetta aiuto e considerazione); 5) lasciar traccia di incontri, eventi e passioni sulla pelle, usando il proprio corpo come racconto vivente, mappa del proprio tragitto biografico. Senza varcare in questa sede il confine tra fenomeno creativo e psicopatologia, possiamo affermare che le modificazioni corporee rivelano l’impossibilità per noi umani di aver a che fare con dati puramente biologici, essendo la nostra vita plasmata in ogni sua parte dalla cultura, dalle relazioni sociali e dalla dimensione simbolica che ci distingue rispetto alle altre specie animali e ci fa vivere in mezzo a foreste di segni che rinviano continuamente ad altro da sé. Noi umani viviamo camminando sul filo sottile delle appartenenze desiderate e dei possibili rifiuti, cercando un equilibrio e una possibile salute nel gioco dell’espressione e del riconoscimento. Dove mancano l’una o l’altro (o entrambe), la vita soffre e sfiorisce perdendo colore.
dott. Paolo Bartolini
ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona