di Roberto Costantini
Ho sempre avuto molta ammirazione per quelle persone che hanno fatto esperienze di un forte contatto con se stesse in situazioni di notevole deprivazione sensoriale. Faccio riferimento a chi ha trascorso periodi lunghi in grotta o ad altri esperimenti simili. In questi frangenti la capacità di stare con se stessi viene messa alla prova. Stare dentro, abitare le sensazioni e accoglierle con la lentezza del qui e ora mentre il tempo si dilata e approfondisce. Accogliersi e respirare significa entrare in un contatto che lascia poco spazio ai pensieri, alle razionalizzazioni, all’autocentratura egoica. Quando siamo immersi in noi non siamo più soggetti al dovere di “fare”, all’ansia di ottenere risultati precisi. Cerchiamo allora occasioni di silenzio interiore meditativo. Il contatto con noi stessi può essere pieno e intenso, purché siamo disponibili ad avvolgere con la nostra attenzione non giudicante tutto ciò che accade sul piano psicosomatico. Accettare il flusso significa fare amicizia con le sensazioni, non temere le immagini che emergono, lasciarci vivere insomma. Perché la Vita non ci appartiene, ma siamo noi ad appartenerle. Noi, testimoni unici e irripetibili di un mistero in evoluzione a cui prendiamo parte. Infine: se comprendiamo la meraviglia di un rinnovato spirito di presenza, non abbiamo bisogno di staccare con gli stimoli esterni per calarci in noi stessi. Del resto ogni occasione di percezione – interna ed esterna – può essere un invito prezioso a Sentire, Ascoltare, Fare attenzione.