Il giudizio è una forma di rifiuto che ci tiene lontani, a livello emotivo, da ciò che giudichiamo. È insomma un mettere distanza, caratterizzato naturalmente dalla tendenza a squalificare il valore di chi o cosa viene criticato. In altre parole: il giudizio impone una specie di gerarchia. Chi giudica si pone al di sopra del giudicato, traendo così un certo piacere legato al senso di potenza che deriva dall’atto stesso del giudizio (atto che sfocia facilmente nella condanna, più o meno definitiva). Purtroppo giudicare tiene in vita il conflitto tra le polarità, un conflitto non generativo ma distruttivo. Ecco allora che la mente prende campo, viene esaltata e conquista terreno mediante una pericolosa proliferazione di pensieri negativi. Il giudizio si offre alla nostra comprensione come quella attività specifica di una mente incapace di accettare la realtà e di mettere un freno all’incessante produzione di dualismi. Il giusto e lo sbagliato, il bene e il male, categorie indispensabili per lo sviluppo di un’etica condivisa nelle culture umane, finiscono dunque per essere assolutizzate, decontestualizzate e private di senso. L’impalcatura soffocante dei giudizi automatici va progressivamente smontata se vogliamo instaurare un contatto aperto e pieno con la sorgente della vita. Bisogna educare la mente ad accogliere ciò che ci si presenta nel qui ed ora, liberandoci dalla struttura pesante del giudizio e dalla sua tendenza ad alimentare separazione e dualismi. Rabbia, fastidio, disprezzo e critiche sono come erbe infestanti che guadagnano spazio in mancanza di una mente aperta allenata all’attenzione paziente, all’accoglienza e alla tenerezza. Vivere questa disposizione d’animo all’accettazione nel presente non significa rinunciare alla capacità di discriminare tra i dati di realtà, di giungere a giudizi maturi ed equilibrati su questioni che meritano una nostra presa di posizione. Piuttosto significa spogliare il giudizio degli eccessi che lo rendono una forza divisiva, foriera di contrasti e di incomprensioni. Smettere di giudicare richiede coraggio e forza di volontà. Ma intanto bisogna desiderarlo intensamente.
dott. Roberto Costantini
Presidente dell’ASPIC Scuola Superiore Europea di Counseling Sede di Ancona